Thursday, March 21, 2013

La scusa perfetta.

Passi di stivali al ginocchio di finta pelle marrone baio con suola scollata alla punta che rimbombano sotto i portici deserti -

certo che di lunedì alle tre del mattino non succede proprio nulla

che tristezza

all'angolo tra via Alessandrini e via delle Moline a quest'ora si sente un rumore di cascata che pare di stare in Amazzonia, e invece è semplicemente il Reno che scorre in mezzo alle case: quel casino lì lo fa sempre, anche di giorno, solo che con la folla e i rumori e le macchine e le voci e le grida e  -

Sai com'è.

Ci mettevo diciassette minuti contati ad arrivare da casa a lavoro, diciotto quando il semaforo all'incrocio con via Indipendenza era rosso, e, volendo, ci avrei potuto impiegare diciassette minuti anche al ritorno, ma chi c'aveva voglia di andare di fretta di notte, con la stanchezza di una giornata – ma anche di una vita – intera addosso, chi c'aveva voglia di correre senza nessuno a corrermi dietro, senza la folla a calpestarmi i talloni, senza un genitore ad aspettarmi sveglio e ansioso all'uscio della porta con lo sguardo fisso all'orologio e un'espressione a metà tra il fintamente preoccupato e il verosimilmente assonnato, chi c'aveva voglia, chi?

Gli stivali al ginocchio di finta pelle marrone baio con suola scollata alla punta rimbombavano sotto i portici deserti, mi sarebbe piaciuto pensare che fosse una fredda e buia notte di inizio inverno, e invece era la fine di marzo e nell'aria c'erano già quegli odori che preannunciavano la primavera, e non faceva neanche così freddo, anzi, si stava bene anche senza guanti, e si sarebbe stati bene anche senza cappuccio, ma io lo tenevo in testa lo stesso, per nascondere il viso dietro il bordino di pelliccia finta, per evitare gli sguardi di quei pochi passanti che ogni tanto incrociavo, per rimanere il più possibile isolata nel mio microcosmo delimitato da un parka con cappuccio e pelliccia finta, pantaloni di cotone nero taglia 42 e stivali al ginocchio ecc. ecc.

Se foste passati di domenica pomeriggio da via Indipendenza verso le 16:45 mi avreste trovata appoggiata a una colonna all'altezza di via Marsala, a fumare sigarette rollate male e ad ascoltare in disparte i musicisti che suonavano – tromba, trombone, percussioni e sax – accerchiati da un cappelletto di gente, bravi, bravi, molto bravi, sì.
Belli i bambini che danzavano.

Dicevo: mi sarebbe piaciuto pensare che fosse una notte fredda e buia, Era una notte buia e tempestosa, tutti gli sfortunati romanzi di Snoopy incominciavano così, e sarebbe stato bello poter dare la colpa per il freddo e il buio a una folata di vento, o a una nube minacciosa.

E invece la notte era serena, la luna splendeva radiosa, e nell'aria tiepida si sentiva già l'arrivo della primavera, e dei fiori, e delle scorrazzate in moto sui colli, e delle birrette sul prato ai Giardini, e dei -

Toccava vivere. E vivere felici. Peccato: quella del freddo e del buio sarebbe stata una scusa perfetta.