Monday, May 26, 2014

Madonna, liberaci dalle Pussy Riot!


Un paio di settimane fa, girovagando in una nota libreria nel centro di Bologna, ho trovato, posti uno affianco all'altro, questi due libri:



Erano circondati da altri libri: su Putin, sul neozarismo, sui regimi totalitari. Mi sono fermata di scatto e li ho esaminati da più vicino. Uno (quello a destra nella foto) era una “biografia” delle Pussy Riot. L'altro, invece, un diario di viaggio di tale Giancarlo Vigorelli, un giornalista che si recò a Mosca in qualità di segretario del COMES (Comunità europea degli scrittori), udite udite, dall'11 al 21 aprile 1966.
Ripeto: 1966. Piena Guerra Fredda. Putin all'epoca aveva appena 14 anni.
Eppure, entrambi i libri recavano sulla copertina l'immagine di una donna con la scritta “Free Pussy Riot”.
Il fastidio provocatomi da questa insistente propinazione – anche quando è completamente fuoriluogo – dell'immagine delle famose ragazze con le balaclava colorate fu talmente potente da riuscire a scuotermi dal mio blocco dello scrittore, del quale soffrivo oramai da un anno e passa. Tornai a casa con due volumi: il primo era la sopraccitata storia delle Pussy Riot; il secondo, una biografia non autorizzata di Putin, scritta da una famosa giornalista dell'opposizione russa, nonché lesbica dichiarata, Masha Gessen. Nei giorni seguenti, fui letteralmente ossessionata dal tema delle Pussy Riot. Divorai i due volumi comprati, misi sottosopra internet alla ricerca di ogni minimo particolare che mi sarebbe potuto essere utile, guardai probabilmente tutto il guardabile, lessi tutto il leggibile, pensai il pensabile. La domanda che mi tormentava era: “Sono dei geni o sono delle coglione?”. L'opinione pubblica occidentale mi spingeva a scegliere la prima opzione; l'opinione pubblica russa mi faceva ricadere sulla seconda. Ma soprattutto: perché, con tutti gli oppositori, con tutti i manifestanti (anche molto più estremi) che hanno espresso il proprio dissenso nei confronti della politica di Putin – primi tra tutti i Vojna, dei quali parlerò più avanti –, con tutte le accuse che il presidente russo si sente rivolgere quotidianamente da ogni lato, perché proprio loro? Perché hanno avuto tutto questo “successo” internazionale, perché sono diventate, sia all'estero che in patria, l'icona principale della lotta contro Putin? Eppure, non sono le prime e non saranno certamente le ultime a fare degli atti di protesta, non sono le prime e non saranno le ultime ad essere punite eccessivamente con prigioni invivibili e sovraffollate, non sono le prime e non saranno le ultime ad essere mandate in campi di lavoro dove la giornata di lavoro dura dalle 12 alle 16 ore e le attrezzature sono di epoca presovietica. Non sono le prime e non saranno le ultime per le quali il governo ignorerà non solo il Codice Civile e il Codice Penale, ma anche la Costituzione stessa, inventando sentenze per cose mai avvenute e condannandole per infrazioni di leggi inesistenti. In Russia, ahimè, la gente è abituata a questo genere di cose, e, piuttosto che combatterle, spesso e volentieri ci si adegua. Tutti lo sanno, e lo sa anche l'Occidente. Allora perché tutto questo rumore intorno alle Pussy Riot? Cerchiamo di capirci qualcosa.



Le balaclava sono quei cappuccetti colorati che hanno in testa, per la cronaca.

Prima di tutto i fatti. Verso le 11 di mattina del 21 febbraio 2012 un gruppo di circa quindici persone entrò dalla porta principale nella Cattedrale del Cristo Salvatore, la più grande chiesa ortodossa al mondo. Voluta dallo zar Alessandro I nel 1812 subito dopo la sconfitta di Napoleone "per manifestare la Nostra gratitudine alla Divina Provvidenza per aver salvato la Russia dal destino che incombeva su di Essa", la Cattedrale fu eretta nel pieno centro di Mosca nel 1860, poi distrutta nel 1931 per volere di Stalin e ricostruita subito dopo la caduta dell'Unione Sovietica, negli anni '90. E' un edificio imponente, alto quanto un grattacielo di 30 piani, un edificio che ospita al suo interno 22.000 metri quadri di affreschi, 9.000 dei quali sono ricoperti d'oro. Peccato tuttavia che tutta questa meraviglia non appartenga di fatto alla Chiesa, bensì al comune di Mosca, il quale, oltre a mettere la cattedrale a disposizione dei fedeli, lo affitta a privati per eventi, conferenze e concerti.

 La piccola e umile Sala dei Congressi della Cattedrale.

Fece scandalo un video fatto girare in rete il 3 maggio 2012, dove si vede benissimo la sala dei congressi della cattedrale, sul palco della quale dei cantanti intonano “Rasputin” dei Boney M – un pezzo, diciamolo, non proprio consono a una chiesa. Basta ascoltare il ritornello per rendersene conto:

RA RA RASPUTIN

Lover of the Russian queen

There was a cat that really was gone

RA RA RASPUTIN

Russia's greatest love machine

It was a shame how he carried on



Da notare che la “Russian queen” citata nel testo è Aleksandra Fyodorovna, moglie dello zar Nikolaj II, la quale fu canonizzata insieme al marito e ai cinque figli nel 1981.
Dunque cantare delle scopate di una santa – questo sì, si può fare, ma una preghiera punk assolutamente no, ma scherzi, sacrilegio. Vabbè.
Ma torniamo a quella famosa mattina del 21 febbraio. Alcune ragazze del gruppetto entrato alle 11 di mattina iniziano a togliersi in fretta le giacche, si infilano le balaclava in testa e salgono sul sòlea (un rialzamento che prolunga l'altare, anch'esso rialzato, all'interno della navata centrale, diviso solitamente dalla navata da un cancelletto di legno). Ciò che è avvenuto dopo è noto a tutti: 40 secondi di preghiera punk, pagati con un  processo interminabile per tre delle componenti del gruppo, Ekaterina Samucevic, Nadezda Tolokonnikova e Maria Alehina, nonché con la reclusione delle ultime due.
L'esibizione fu prontamente filmata dai giornalisti invitati ad assistere, e già dopo un paio di ore il video montato finì in rete, divenendo all'istante virale. Già qui ci sono due elementi molto importanti: primo, i giornalisti invitati erano per la maggior parte stranieri; secondo, il primo video che finì in rete non era stato montato con l'audio originale, bensì con la registrazione in studio della canzone. Guardando la versione grezza del video, che venne pubblicata solo molto tempo dopo, mi resi conto di una cosa: l'acustica della chiesa rendeva le voci e il suono della chitarra elettrica un unico rimbombo insensato e inascoltabile. Le uniche parole udibili, gridate da tutte le ragazze insieme (la chitarrista, Ekaterina Samucevic, a quel punto era già stata portata via), furono quelle del ritornello: “Sran, sran, sran Gospodnya!”, che può essere più o meno tradotto come “Merda, merda, merda del Signore!”. Nessuno dei presenti, quindi, riuscì fisicamente a cogliere il significato della canzone, a parte quel ritornello che sembrava all'apparenza una vera e propria bestemmia.

 Un video della performance con l'audio originale.

Di fatto invece il testo non ce l'aveva con la Chiesa. O meglio, non ce l'aveva con la religione (anzi: due delle ragazze arrestate, Tolokonnikova e Alehina, hanno entrambe dichiarato di essere profondamente religiose), bensì con ciò che la Chiesa Ortodossa Russa sta diventando oggigiorno. Per colpa, dicono le Pussy Riot, di Putin.
Infatti, la canzone inizia con una vera e propria preghiera, recitata da una delle ragazze in ginocchio:

Maria Vergine, scaccia Putin,
Scaccia Putin, scaccia Putin.

La colpa principale di Putin sarebbe, secondo loro, di aver trasformato la casa di Dio nel tempio del commercio (con un riferimento particolare alla Cattedrale del Cristo Salvatore, diventato oramai luogo di ritrovo di businessman, politici ed oligarchi). Scrive Leonid Katilevskij, imprenditore che si è dato alla giornalistica e che è stato tra i più grandi sostenitori del caso Pussy Riot in Russia: “[Secondo uno dei miti sulle Pussy Riot] la preghiera punk nella Cattedrale del Cristo Salvatore è stata fatta per motivi di odio nei confronti della religione Ortodossa (i creatori di questo mito sono stati la signora M.L. Sirova (il giudice del caso Pussy Riot, nda), il giornalista Mamontov, il prete Dimitrij Smirnov e altri). A questa gente qua io vorrei chiedere: ma secondo voi, Gesù Cristo, o il  Salvatore, come lo chiamano gli ortodossi, scacciava i commercianti dal Tempio di Gerusalemme per motivi di odio nei confronti della religione? “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato!”, diceva. Eppure è stato proprio questo il motivo della protesta nella Cattedrale del Cristo Salvatore, motivo spiegato dalle ragazze stesse sia prima, che dopo la protesta. Volevano fare la stessa cosa che fece Cristo, però con una canzone piuttosto che con la violenza.”
Ma cosa c'entra Putin con questo? C'entra eccome, se si pensa che l'attuale patriarca della Chiesa Ortodossa è tale Vladimir Mihailovic Gundjaev, ribattezzato Patriarca Kirill, ex-compagno di Putin al KGB. I legami tra la politica di Putin e la Chiesa Ortodossa sono evidenti. Durante un incontro tra i due poco prima delle elezioni del marzo 2012, Kirill, indirizzandosi a nome di tutta la Chiesa verso l'allora primo ministro Putin, iniziò il discorso con le seguenti parole: “Vorremmo conversare con Lei come primo ministro, ma prima di tutto come candidato a Presidente del nostro Paese, e soprattutto come il candidato che ha, ovviamente, la più alta probabilità di ottenere questa carica”. Non solo, ma durante una celebrazione religiosa il vescovo di Mosca Eutichio chiese pubblicamente a tutti i presenti di votare per Putin alle elezioni, perché “così avremo la sicurezza di stare tranquilli”.

Eutichio mentre si improvvisa politologo davanti a una schiera di vecchiette obbedienti.

Vorrei far notare che l'articolo 48 della legislazione federale russa proibisce qualsiasi tipo di propaganda politica a tutti i componenti di organizzazioni religiose. Ma di nuovo – vabbè.
Dal canto suo, Putin durante l'incontro promise di aumentare la presenza religiosa sui canali televisivi nazionali, di mandare dei cappellani nelle sedi delle forze armate, di introdurre lo studio della teologia nelle scuole e nelle università e di ripristinare alcuni gruppi religiosi banditi quasi un secolo fa dai bolsheviki.
Stato e Chiesa tornavano a parlarsi di nuovo, come prima del Comunismo, anzi, come se il Comunismo non ci fosse mai stato, e tornavano a parlarsi con ancor più fervore, con ancor più intesa. 

Ma torniamo alla nostra punk prayer. Se solo i credenti presenti nella Cattedrale il 21 febbraio fossero riusciti a sentire il testo, probabilmente sarebbero anche stati d'accordo con le Pussy Riot:

Il saio nero, le spalline d'oro (riferimento al passato da agente del KGB di Kirill, nda),
Tutti i parrocchiani strisciano per inchinarsi.
L'illusione di libertà sta nel cielo,
Il Gay Pride è deportato in Siberia in catene.

[…]

Le lodi della Chiesa ai capi marci,
La processione religiosa delle limousine nere.
Nella tua scuola verrà un predicatore,
Vai alla lezione e portagli dei soldi!
Il patriarca Gundjay crede in Putin.
Sarebbe meglio se questa carogna credesse in Dio!

[…]

A questo punto diventa chiaro che il ritornello “Merda, merda, merda del Signore!” è un ovvio riferimento a Gundjaev (Kirill) e al suo modo di gestire la Chiesa, e non alla Chiesa stessa. Eppure questo dettaglio è stato completamente ignorato dalla giudice Sirova, e Tolokonnikova e Alehina, alla fine, sono state dichiarate colpevoli per aver commesso “atti osceni in luogo pubblico motivati dall'odio religioso”. Che in ogni caso non è abbastanza come accusa per finire in carcere. Ma per la terza volta – vabbè.

Una cosa molto importante da far notare sul caso Pussy Riot è che la loro performance non è stata la prima del genere. Le ragazze hanno cantato e ballato, in ordine cronologico: sui tetti di autobus e tram; in metropolitana; sui tetti di negozi di noti marchi di moda; in Piazza Rossa; davanti alle finestre della galera dove sono rinchiusi alcuni dissidenti politici; nella Cattedrale dell'Epifania in Elochovo (dove hanno fatto, diciamo, la “prova generale” per la performance più famosa, quella nella Cattedrale del Cristo Salvatore). E nessuna di queste performance è stata punita, se non con qualche insulto da parte dei passanti. Addirittura su uno dei pochi video che girano su internet di queste numerose performance si vede un gruppo di poliziotti che osserva indifferentemente le ragazze sgolarsi da un traliccio all'interno di una stazione della metropolitana; non reagiscono neanche quando una di loro tira fuori un cuscino, lo strappa e ricopre gli spettatori di una pioggia di piume. Anzi, sembra quasi che se la ridano, come a dire, “ma guarda 'ste qua”, ma in una maniera spiritosa, senza neanche prenderle sul serio.

A 0:28 si vedono benissimo i poliziotti che se la ridono.


Anche i passanti sembrano prenderla bene: molti tirano fuori i cellulari per fare foto o video, e alla fine della canzone quasi tutti ridono e applaudono. Poi - le ragazze scendono dal traliccio, la gente mette via i cellulari e la folla si disperde in meno di un minuto; della protesta punk rimane soltanto un tappeto di piume sul pavimento.

Il punto è che a Mosca, città da 15 milioni di abitanti, la gente è abituata ai pazzoidi. Sono talmente in tanti coloro che cercano di spezzare la routine con atti strani o divertenti in mezzo alle piazze o nei mezzi pubblici, che sono quasi diventati una routine anche loro. Di ciò me ne resi conto da sola qualche anno fa: dal 2007 al 2008 ho partecipato a un gruppo di flashmobbers radicali, con i quali facevamo dei flashmob veri, ortodossi, come si facevano una volta, e non come quelli che si fanno oggi e che si vedono nelle pubblicità – ma questa è tutta un'altra storia, e forse un giorno la racconterò (non credo, visto che la prima regola dei flashmob è non parlare mai dei flashmob). Giravamo per Mosca a fare cretinate, essenzialmente, e la cosa più bella era osservare la reazione dei passanti. I flashmob erano una novità all'epoca, molti si fermavano incuriositi, molti facevano video coi telefonini, eppure erano anche in tanti quelli che passavano davanti indifferenti, quelli che gettavano una rapida occhiata e poi continuavano per la loro strada, o quelli che addirittura sbuffavano, alzavano gli occhi al cielo e borbottavano: “Ancora 'sti pagliacci!”. Non mi meraviglio quindi che nel 2012 i cittadini di Mosca abbiano reagito con calma alle numerose performance delle Pussy Riot. Semplicemente non le hanno prese sul serio. D'altronde, non è che i testi delle loro canzoni si capissero granché: cercando di mettersi sempre in posti alti per essere ben visibili, hanno sacrificato di molto l'audio. Per i passanti furono semplicemente delle ragazze vestite in maniera buffa che facevano casino.
Ma ammettiamo anche che la gente fosse riuscita a sentire le parole delle canzoni – poco probabile, ma facciamo un'ipotesi – e fosse riuscita a capire che si trattava di una protesta contro Putin. Perché le altre volte non sono state né fermate né tantomeno arrestate, e invece dopo la performance nella Cattedrale del Cristo Salvatore sì?
A questo punto vorrei lasciare un attimo da parte le Pussy Riot per parlare di un altro gruppo che ha fatto scandalo negli ultimi anni: i Vojna.
Vojna in russo vuol dire “Guerra”, e la guerra che i componenti del gruppo conducono è, a grandi linee, la stessa delle Pussy Riot (anche se queste ultime inizialmente nascono come un'organizzazione femminista, e si sono spostate completamente sull'antiputinismo solo durante le ultime performance), cioè una guerra contro il governo dell'attuale presidente russo, una guerra contro la FSB, una guerra contro il sistema capitalistico (addirittura i due fondatori del gruppo, Vor e Koza, hanno rifiutato  l'utilizzo dei soldi nel 1998), condotta però con l'arte visiva piuttosto che con la musica punk. L'arte dei Vojna è grezza, pungente, blasfema, fastidiosa – e al contempo geniale. Nella notte del 14 giugno 2010, a San Pietroburgo, il gruppo disegnò un enorme pene sul ponte levatoio di fronte alla sede principale della FSB (l'ex-KGB): quando il ponte si alzò, la FSB si ritrovò un pene di 65 m schiaffato in faccia. Per questo lavoro, intitolato “Cazzo prigioniero dell'FSB”, ricevettero un importante premio artistico, Innovazione per l'arte visiva 2011, con tanto di assegno da diecimila euro consegnato dal ministero della Cultura, che i Vojna prontamente donarono ai prigionieri politici per pagare le spese degli avvocati. Fu una situazione abbastanza buffa: il governo si ritrovò costretto a finanziare i propri avversari rinchiusi in cella.



Il "Cazzo prigioniero della FSB" in tutto il suo splendore luminoso.

Nel corso degli anni, due delle Pussy Riot a noi conosciute, Tolokonnikova e Samucevic, parteciparono ad alcune delle azioni dei Vojna. Una delle performance più scandalose mai fatte dal gruppo artistico fu “Fotti per l'eredità dell'orsacchiotto” e consisteva in un'orgia svolta all'interno del Museo Biologico Nazionale, attorno ad un orso impagliato. La performance fu fatta tre giorni prima delle elezioni presidenziali del 2 marzo 2008, alle quali Putin, per motivi costituzionali, non poteva candidarsi (la Costituzione prevede l'impossibilità di essere presidente per più di due volte di fila), perciò fece candidare al suo posto Medvedev, palesemente un suo fantoccio, mentre lui si prendeva la poltrona di primo ministro, dalla quale riusciva comodamente a dare istruzioni a Medvedev. Il fatto che la performance fu svolta tre giorni prima delle elezioni fa intuire che la popolazione sapeva benissimo quali sarebbero stati i risultati: gli attivisti, infatti, dichiararono che il loro gesto era una parodia di un rito pagano, svolto attorno all'orso-totem (“medved” in russo vuol dire orso). Il rito riprendeva un'antica usanza di “fertilizzare” la terra col seme maschile prima delle semine per avere un raccolto più abbondante – una palese presa in giro del progetto di Medvedev per la crescita demografica del Paese.

 La graziosa coppietta a destra è composta da Nadezda Tolokonnikova col marito Pyotr Verzilov.

L'azione alzò un polverone nei media, però nessuno dei partecipanti fu arrestato, nonostante tutti fossero a viso scoperto; dopo qualche mese, infatti, il caso fu archiviato senza nessuna conseguenza per gli attivisti.
La faccenda, però, venne rispolverata quattro anni dopo, quando gli avvocati dell'accusa del caso Pussy Riot scoprirono che tra i partecipanti a quella manifestazione c'era nientepopodimeno che la Tolokonnikova in persona; non solo, ma era anche al nono mese di gravidanza, e dopo soli 4 giorni dalla performance partorì la figlia Gera. L'opinione pubblica perse completamente le staffe: l'azione che solo pochi anni prima era stata dimenticata senza difficoltà, all'improvviso aveva assunto nuovi aspetti. Ora Tolokonnikova non solo era, agli occhi della gente, una eretica irrispettosa, ma anche una pervertita e una pessima madre – motivo per il quale le fu negato il rilascio dalla prigione, previsto dalla legge russa per le madri di bambini sotto i 14 anni. A differenza della Tolokonnikova e della Samucevic, gli inquirenti non riuscirono a trovare nulla di negativo sulla Alehina – che, al contrario, aveva lavorato come volontaria in una clinica psichiatrica per bambini e le uniche manifestazioni alle quali aveva preso parte erano quelle contro l'abbattimento della foresta di Himki nella periferia di Mosca – però inspiegabilmente anche lei rientrò nella categoria delle “ragazzacce” insieme alle altre due, e, nonostante anche lei avesse un bambino di soli cinque anni, anche a lei il rilascio fu negato.

Dunque ricapitolando: le Pussy Riot hanno fatto decine di performance più o meno uguali in vari luoghi della capitale; sono state superate per scabrosità e indecenza da altri gruppi di artisti, ad alcuni dei quali hanno anche partecipato; non hanno compiuto, in nessuna delle loro performance, nessuna infrazione seria (in effetti, non fu commesso nessun reato criminale, ma ci fu una semplice contravvenzione, che in Russia è punibile, in base alla gravità, con una multa, con il divieto di compiere determinate azioni – ad esempio, guidare – oppure con il cosiddetto “arresto amministrativo”, un isolamento temporaneo del pregiudicato che può durare massimo 15 giorni e che non è applicabile alle madri con figli minori di 14 anni). Eppure per la punk prayer all'interno della Cattedrale del Cristo Salvatore, a differenza delle altre performance e a differenza della performance dei Vojna, le ragazze furono punite con ferocia inaudita.
Di nuovo: perché?!

Ora, un lettore che abbia seguito finora i miei ragionamenti penserà che io sia a favore delle Pussy Riot, e che le stia difendendo, e che stia cercando giustizia per loro. Ebbene, rullo di tamburi, no.
No, non sono a favore delle Pussy Riot.
Prima di rischiare un linciaggio pubblico, mi affretto a chiarire: non che sia a favore della politica di Putin, e ovviamente non sono contenta del modo come le ragazze sono state trattate. Anzi, non mi dispiacciono neanche i loro argomenti. Però il modo con il quale hanno deciso di esprimere le loro opinioni è stato, a mio parere, completamente erroneo.
Troppo spesso, purtroppo, gli occidentali hanno la presunzione di dettare le regole semplicemente perché, secondo loro, il mondo intero dovrebbe funzionare secondo le regole alle quali loro sono abituati. Ma, seppur sia giusto e nobile cercare di far rispettare i diritti umani in tutti i Paesi, i linguaggi sociali sono diversissimi da Paese a Paese, e si rischia di perdere di vista un sacco di differenze culturali che non sono dei semplici dettagli. 
Parlando della Russia, ad esempio, non bisogna mai perdere di vista il fattore geografico: la Russia è, ed è sempre stata, la nazione più grande al mondo, e ciò non ha potuto non influenzare il carattere della sua popolazione nel corso dei secoli. Il russo è una persona che è abituata a vivere in un Paese grande, è abituato ad avere tanto spazio, e ne va orgoglioso. Infatti, la Russia ha una densità di popolazione molto bassa per essere un Paese che occupa un quinto delle terre emerse: è 57 volte più estesa dell'Italia, ma ha una popolazione solo 2,5 volte più grande rispetto a quella italiana. Questo bisogno di spazio e di grandiosità si può facilmente notare anche dall'architettura urbana: i maestosi ed altissimi edifici sono separati da boulevard enormi, e tra un palazzo e un altro c'è sempre una piazza o un cortile in mezzo. Il russo ama lo spazio, ama avere il SUO spazio, dove lui è il re, e dove nessuno deve metterci anche solo la punta del naso. Ovviamente, c'è un rispetto generale per gli spazi degli altri, e vige la regola non scritta: a casa tua fai quello che ti pare, basta che non vieni a rompere le scatole a me. E' un sentimento talmente forte in Russia da dover essere per forza preso in considerazione nel caso delle Pussy Riot. Infatti, le ragazze non hanno semplicemente manifestato il loro dissenso in un luogo pubblico, ma sono andate a farlo nella casa del nemico - e questo non è stato visto come un atto di coraggio (come è stato visto, invece, in Occidente), bensì come un oltraggio e una mancanza di rispetto. A pensarla così, lo sottolineo, non sono stati solo i religiosi, ma anche i laici, indifferentemente dalla loro posizione politica. Le Pussy Riot hanno avuto il potere di unire governo ed opposizione in un unico sprezzante giudizio negativo: persino il principale e popolarissimo oppositore di Putin, il blogger Aleksej Navalnij, definì la performance "un errore". Molti si fermarono a questo, e non cercarono neanche di scavare un po' più a fondo per vedere di cosa si trattava e di cosa cantavano le ragazze: il fiero popolo russo non ha apprezzato per niente questa irruzione in casa altrui.
Seconda cosa, come avevo già accennato prima, l'acustica durante le performance delle Pussy Riot era pessima. Come mi fece notare una certa persona qualche giorno fa, il risultato finale della performance non fu mai la performance vera e propria, ma il video montato che fu fatto girare su internet. In quest'ottica, anche i successivi giudizi e commenti si sarebbero dovuti fare partendo dal video, e non dal balletto in carne ed ossa: è questo il normale procedimento nel mondo delle performance, è così che ci ha insegnato a fare Marina Abramovic per più di 40 anni. Ma adesso vorrei chiedervi sinceramente: davvero credete che i giudici e l'opinione pubblica di un Paese che è stato estraniato dal resto del mondo per quasi 80 anni sappia come funziona il mondo delle performance?! La particolarità e la straordinarietà della Russia sta proprio nell'aver seguito, nel corso dell'ultimo secolo, una strada completamente diversa da quella occidentale, e nell'aver sviluppato, per questo motivo, dei modi di fare e pensare completamente estranei all'Europa - e il mondo dell'arte non è un'eccezione a ciò. E le sue difficoltà principali oggi stanno nell'accettare una valanga di cose che per loro sono strane, incomprensibili e sbagliate; basti pensare alla legge anti-gay, così tanto criticata in tutto il mondo. La Russia semplicemente non ha vissuto la rivoluzione sessuale del '68, non ha vissuto l'avvento del sesso nella televisione negli anni '80, non ha vissuto l'inizio dell'accettazione dei matrimoni gay. E' come se si fosse cristallizato tutto per 70 anni e passa, e la gente fosse rimasta ancora ai valori del 1917. Qualsiasi cittadino medio, di qualsiasi nazione, avrebbe giudicato un gay nel 1917. La Russia ha semplicemente bisogno di un po' più di tempo per accettare l'omosessualità.
Ma ritornando alle Pussy Riot. Ricordate quando ho accennato che la maggior parte dei giornalisti invitati ad assistere alla performance erano stranieri? Ecco, questo particolare mi fa pensare a due cose. Primo, che le ragazze abbiano agito pensato più alla occidentale che alla russa (non ci dimentichiamo che il marito di Tolokonnikova, Pyotr Verzilov, ha la cittadinanza canadese, e lei stessa ha un permesso di soggiorno per il Canada). Secondo, che alle autorità governative più della performance abbia dato fastidio la copertura mediatica che l'evento ha avuto all'estero. Del tipo, "i panni sporchi si lavano a casa" e il resto del mondo non ci deve ficcare il naso. Ma io personalmente credo che le Pussy Riot abbiano agito più per colpire l'Occidente che la Russia. Potrebbe essere solo un'opinione mia, ma ne sono abbastanza convinta.
Last but not least: per gli stessi suddetti motivi dell'incomprensione dei russi nei confronti dell'arte contemporanea (ovvero l'isolamento durante il periodo sovietico), la forza comunicativa principale non ha compiuto il passaggio all'immagine, come successe in Occidente (a partire dalla Pop Art e finendo con Twitter, che ha stabilito un nuovo standard di lunghezza di un discorso), ma risiede ancora nella parola scritta. D'altronde, con quella massiccia tradizione letteraria che i russi si ritrovano, è difficile sbarazzarsene. Comunque, a differenza dell'Occidente, la Russia è ancora un posto dove la gente legge, dove la gente scrive, dove la gente si porta dietro in metropolitana i libri (o, sempre più spesso, i Kindle). E' un posto dove i forum di scrittori amatoriali spopolano alla grande, e dove molti scrittori contemporanei hanno raggiunto il successo pubblicando gratuitamente i propri libri su internet. Per questo la parola scritta riscuote più successo della pura immagine, ed è per questo che, secondo me, le Pussy Riot avrebbero fatto meglio a scrivere giù i motivi della loro protesta - o, se proprio volevano esprimerla tramite la musica, almeno renderla più orecchiabile e quindi più facilmente comprensibile. Le balaclava e le calze colorate agli occhi dei russi non sono altro che esibizionismi da occidentali.


Certo, le Pussy Riot sono riuscite ad alzare l'attenzione un po' più in alto sui problemi del ruolo della donna nella società odierna russa, sul trattamento dei detenuti nei campi di lavoro e sugli abusi da parte delle forze armate. Ma a quale prezzo? Dopo la performance nella Cattedrale il governo ha risposto aumentando le pene per gli offensori della religione - per proteggere i sentimenti dei fedeli, hanno detto. Peccato però che così facendo chiunque cerchi di indagare sui malefatti della Chiesa divenga automaticamente un criminale. Per di più in un Paese laico per Costituzione. Una reazione del genere da parte del governo è senza dubbio assurda e ingiusta, ma, d'altronde, il manico del coltello non lo tiene il popolo, e tale reazione bisognava aspettarsela. 


Quindi, cari miei occidentali, basta tifare per le Pussy Riot a priori, solo perché protestano contro qualcosa o qualcuno. Ci sono modi e modi per protestare, e non tutti i modi sono adatti a tutti i luoghi. 


E soprattutto, basta ficcare la scritta "Free Pussy Riot" ovunque. Come mi fece notare una mia amica russa qualche tempo fa: "Le hanno liberate da un sacco di tempo, perché continuano a scrivere Free?!".

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