Saturday, December 15, 2012

Lettera alla mamma.

Scorre l'aria, scorre, lungo le mie braccia, e le gambe, accarezza la mia faccia, scorre sulle guance, sui miei occhi aperti e ciechi, scorre l'aria, tiepida ovatta, acqua di rubinetto, morbida seta, e si lascia andare dietro di me, mentre i vorticanti pedali della mia bicicletta – Betty, la mia bicicletta si chiama Betty – continuano a girare, irrefrenabili, spericolati, sui sanpietrini di via Farini – ricordi, ricordi, che meraviglia scoprire quella strada, con quel suo nome così familiare? Girano i pedali, girano, facendomi saltellare sulla strada sconquassata, a ritmo di quella stecca metallica che sbatacchia sul parafango, legata alla meglio con del fil di ferro, girano i pedali, da soli girano, quasi fossero loro a muovere le mie gambe e non il contrario, una forza proveniente da sotto, dal bollente sottosuolo, risalendo attraverso il rovente asfalto, fa il giro dalle ruote, dalla gomma sporca e consumata, su per lo scheletro, per la vernice scrostata, per la ruggine sul manubrio, e poi giù fino ai pedali, attraverso le ciabatte, attraverso i calli arancioni, dentro la pelle, dentro i muscoli, dentro le ossa, è il mondo che mi spinge, il mondo che mi guida, il mondo che fa girare i miei pedali – io non c'entro niente, non volevo, davvero, io sono innocente – mentre l'aria scorre, consolando la mia fronte surriscaldata e il labbro superiore imperlato di gocce di sudore. Ad un tratto – il suono di un cucchiaino che tocca il piattino esce dall'informe nuvola esterna al mio corpo, trafigge una dietro l'altra le distanze del mio spazio prossemico e colpisce i miei timpani, così preciso, diretto, pulito, isolato, come ermetizzato dalla restante afosa confusione del bar all'angolo a destra, dove voci sudate si mescolano al pigro ronzio di un ventilatore giallastro, e bariste disilluse preparano macchinalmente caffè e cappuccini con sorrisi finti come maschere distrattamente disegnate in faccia. Ah, Marcel, siate maledetti, tu e le tue madeleine!
Il manubrio scivola per un attimo dal preciso e rettilineo movimento, sbando quasi impercettibilmente a sinistra – come se quel suono fosse denso di forza e di violenza, una violenza sottile e pungente, come un ago. Tesoro mio, cosa ti sta succedendo? Perché la testa gira, perché il cuore batte così forte? Perché, in questo caldo pomeriggio di fine giugno, non sorridi alla fine degli esami, e a un'estate in libertà, e a una vita giovane e forte, piena di novità e cambiamenti, e perché invece ti lasci trascinare da questa nebbia appiccicaticcia di sospiri e nostalgia, perché? Oh, Samuel, come si cura il battiburro di parole stantie nel cuore?
Io, e la mia indipendenza, io, e il mio mondo immaginario, fatto di dettagli, di pieghe della stoffa sugli abiti, di crepe sui muri, di visi sconosciuti, di canzoni canticchiate al vento, di poesie scarabocchiate sulla moleskine, di passeggiate solitarie, di libri, di occhi stanchi, io, io, di nuovo io.
E' che son sola, mamma, tanto sola, e ogni tanto aspetto, con rassegnato spirito di sacrificio, di impazzirne.

Clemente, dimmi, ma sii sincero: verrà, sei sicuro, verrà, se resisto?

(luglio 2012)

No comments:

Post a Comment