Wednesday, November 21, 2012

Emme come Mosca.

Esci dall'aeroporto di Sheremyetevo, il cielo è di un grigio cupo che più cupo non si può. Gli alberi sono spogli, la terra nera, i palazzi sporchi, le macchine ricoperte da una patina nerognola di fango e smog: respiri a pieni polmoni quell'aria inquinata ma così cara alla tua memoria nostalgica, e ti senti bene. Sul tabellone dei treni Aereoexpress che portano in città c'è scritto che la prossima navetta partirà tra pochi minuti, direzione “M. Belorusskij Vokzal”.
Emme, come Mosca.
La navetta è nuova, pulita, i sedili comodi e di un colore rosso acceso, e le porte di vetro scorrevoli si aprono  premendo un bottone luminoso. Tutto è in perfetto stile europeo, come anche l'aeroporto ristrutturato da poco, e dà l'impressione di un luogo piacevolmente sterile. Dai soffitti del treno pendono televisori con schermi a cristalli liquidi, sui quali trasmettono i soliti video senza importanza sui leoni e le gazzelle della savana, che servono solo a distrarre i passeggeri dalle brutte case che scorrono velocemente al di là dei loro finestrini, appena a pochi metri dalle capsule ermetiche dei loro vagoni.



Fuori, sotto queste nuvole di piombo, si stende la città dove sei cresciuta.
La navetta impiega solo mezzora ad arrivare – ti ricordi quando quell'Aeroexpress non era altro che una delle comunissime elektricka che corrono ancora oggi verso la periferia, e ci metteva quasi due ore? – esci dal treno, vieni travolta dalla fiumana di gente – questa è una città che corre, baby, te ne sei dimenticata? – e, siccome non ti ricordi in che direzione andare, ti lasci trasportare fiduciosa dalla folla. Infatti, dopo qualche minuto, eccola, la grande M rossa a zigzag.
Emme, come metro.





La metropolitana di Mosca non è una semplice rete ferroviaria sotterranea, come in tante altre città; no, è un mondo a parte, con le proprie regole, la propria filosofia, la propria poetica. È un labirinto di corridoi di marmo, passaggi decorati con mosaici e stemmi dorati, intrecci di cammini di milioni di persone che chissà dove vanno e chissà cosa fanno nella vita, e chissà se mai si incontreranno tra di loro. Una lunga scala mobile ti porta nel ventre di questa enorme bestia, lasciandoti sulla piattaforma colma di gente che corre e che sbraita contro chiunque si fermi anche solo mezzo secondo ad ammirare la bellezza della stazione, o, il ché è più probabile, la tabellina con le fermate che scende giù dal soffitto affrescato insieme ai lampadari in cristallo grandi quanto un tavolo da cucina. Che formicaio, pensi tu, e, senza bisogno di guardare la direzione dei treni, ti sposti sul binario destro, dove giusto in quel momento si avvicina un rumoroso trenino blu. La Kolzevaya è sempre la linea più piena, è una linea della metro circolare che unisce quasi tutte le altre linee – tredici in tutto – e che racchiude in sé il centro storico della città. È sempre stata la tua linea preferita, un po' perché è quella con le stazioni più belle, più decorate, e un po' perché ti è sempre piaciuto sederti in metropolitana e viaggiare, viaggiare, senza neanche avere una meta, e questa era una linea circolare, quindi non si fermava mai fino all'orario di chiusura, cioè le due di notte, ed era una cosa che ti affascinava, sederti in un vagone a caso in mezzo alla gente, con quella voce calma e gentile – maschile per i treni in direzione oraria, femminile per quelli in direzione antioraria – che annunciava ancora e ancora le prossime fermate e che invitava a lasciare il posto agli anziani, le donne incinte e i bambini, ti sedevi lì e viaggiavi, per ore a volte, quando non avevi che fare, e anche se alla fine si tornava sempre sullo stesso punto quel cullarsi ritmico dei treni sparati giù per i tunnel bui ti dava l'impressione di andare chissà dove, e ciò non ti annoiava mai, ti bastava anche solo osservare gli altri passeggeri, ti hanno sempre sgridata da piccola per questo vizio di fissare la gente, ma è una cosa alla quale non riesci a rinunciare, e così ogni volta lasci scivolare lo sguardo sui lineamenti dei volti, sui vestiti, sui gesti di quelle persone sedute attorno, e cercare di immaginare chi sono, e come sono, e cosa pensano. Anni di esperienza passati ad ascoltare la gente parlare della propria vita ti hanno insegnato che in fondo ciascuno di noi non è poi così unico e irripetibile come crede di essere, e che anzi, spesso le persone possono essere rinchiuse in categorie prestabilite, magari con qualche sfumatura, con qualche piccola differenza, ma con nulla di così veramente speciale. Spesso nella tua vita ti è capitato di vedere persone diverse vivere vite uguali, le hai guardate come in un deja vu, e spesso hai pensato con tristezza che i pregiudizi il più delle volte sono veri. Ecco di fronte a te la classica babushka rotonda con il fazzoletto in testa e un carrellino dove sicuramente ci saranno patate, o cipolle, o cetrioli marinati che sta portando a vendere a qualche mercato per arrotondare in qualche modo la sua misera pensione; ecco il classico ragazzotto caucasico in tuta sportiva che si è trasferito a Mosca credendo di trovare quel paradiso pieno di denaro e donne facili che descrivono tutti in Russia tranne che i moscoviti stessi, e scoprendo invece una realtà ben più dura e discriminante nei confronti delle persone con origini come le sue; ecco la classica trentenne bionda, iPad in mano, in tacchi a spillo e minigonna nonostante il freddo, con quell'aria sicura da donna in carriera, appartenente a quella fetta sociale di persone che sono appena entrate nella media borghesia e che hanno voglia di mostrarlo agli altri sfoggiando aggeggi costosi e vestiti firmati; ecco il classico vecchietto ex-comunista che, per nascondere le delusioni di vita e mantenere una parvenza di orgoglio e di dignità, gira sempre vestito di tutto punto, come se stesse andando a un matrimonio, anche se la camicia è un po' giallognola e i gomiti della giacca sono spelacchiati dall'usura, con un basco in testa, un pacchetto di sigarette popolari nel taschino anteriore e una valigetta di pelle in mano, vecchia anch'essa, dalla quale, dopo essersi seduto, estrae un paio di occhiali spessi e rotondi e un cruciverba. Una cosa che ti è sempre piaciuta della gente di Mosca è che in metropolitana, per ingannare il tempo, legge. Dai giornaletti di gossip al Voina i Mir di Tolstoj, la gente legge.
Emme, come Mir.
Questa parola nell'enigmatica lingua russa significa sia “pace” che “mondo”, e perde questa sottigliezza nelle traduzioni del romanzo nelle altre lingue. Ti avevano raccontato che una volta l'alfabeto russo contava 56 lettere, e non 33 come ora, e che la lingua era molto più simile alle lingue orientali che a quelle europee: ogni parola andava interpretata, perché significava più di una sola cosa. Poi, Kirill e Mefodij introdussero l'alfabeto cirillico, utilizzato tuttora, per rendere il russo più comprensibile ai mercanti che provenivano da ovest, e molte sfumature legate a lettere che ormai non ci sono più sono andate perse. Molte altre, tuttavia, persistono, e il pensare che i concetti di “pace” e di “mondo” possano essere la stessa cosa anche solo verbalmente, è una cosa che ti ha sempre fatto star bene.
Ad aspettarti all'uscita della metro c'è Tanya. Le corri incontro, ansiosa di abbracciarla, lei rimane un po' sulle sue, restia come tutti i russi alle effusioni in pubblico, ma con un grosso sorriso stampato in faccia. Ti fa salire in macchina, direzione Malahovka, un paesino a sessanta chilometri a sud-est da Mosca, dove lei si è trasferita da poco.



“Non mi piace la metro,” dice Tanya, tamburellando le dita dalle lunghe unghie laccate sul volante della sua Skoda giallo canarino. “Troppa gente, e poi è diventata troppo pericolosa.”
Con molto tatto, decidi di tacere sul fatto che che siete già imbottigliate nel traffico del Tretye Avtotransportnoe Kolzo dopo solo mezzora di guida, e anche sui vari incidenti che avete incontrato strada facendo e che sono, la maggior parte delle volte, causa di traffici come quello.
“Già, c'è stato quell'attacco terroristico, no? Quello a Kropotkinskaya...”
“Si, quello è stato due anni fa. Poi l'anno scorso ci sono state anche delle sparatorie sulla Kievskaya. Roba di regolamenti di conti nazionali. I soliti caucasici che rompono. Se ne stessero a casa loro, dico io.”
Per un po' rimanete in silenzio. Lo sai che Tanya ha sguardi molto diversi dai tuoi, è razzista e nazionalista come quasi tutti i russi, ma sai anche che è difficile non esserlo quando nasci e cresci in questi posti. Pensi a come sia ostile la vita in questa città a differenza della mite e oziosa Italia, a come la gente sia costretta ogni giorno ad affrontare situazioni dove la morte è sempre presente, lì a due passi, nascosta solo da una macchina rovesciata o da un musulmano con qualche chilo di esplosivo sotto il vestito. Pensi a come la morte faccia parte della vita di tutti i giorni dei moscoviti, com'è d'altronde normale che sia, perché la vita purtroppo non può esistere senza la morte, e a come quelle persone continuino le proprie vite serenamente senza fermarsi a riflettere, senza fermarsi a porsi domande, perché se ti fermi in questa città sei fottuto, baby, perché questa è una città che corre, una città che ha fretta, una città che non conosce riposo.
“E quella roba delle Pussy Riot? Che si è detto di loro qua? In Europa hanno alzato un polverone a riguardo.”
“Ah, quelle. Guarda, ad essere sincera non se ne è parlato più di tanto, e la gente in generale non è contraria alla loro reclusione. Hanno disturbato la quiete pubblica, andavano punite in qualche modo. Soprattutto perché dopo di loro è stata approvata una legge secondo la quale chiunque manifesti idee contrarie alla religione ortodossa è perseguibile per legge. Per proteggere i fedeli, dicono loro. Senza neanche contare che secondo la costituzione la Federazione Russa è uno stato laico, e che la maggior parte dei cittadini è di religione musulmana.”
“È assurdo.”
“Beh, siamo in Russia, no?”
“E quella legge sulla propaganda dell'omosessualità, invece? L'hanno approvata?”
“Beh, in teoria non è proibito essere gay, però la legge parla di pedofilia e perversioni sessuali in genere, e quindi nella pratica proibisce anche l'omosessualità.”
“Ma mica essere gay è una perversione sessuale! Secondo me non sanno bene la differenza tra le parole pedofilo e pederasta.”
“Lo so, lo so... Però sai com'è qua.”
“La prossima volta che vorrò farmi quattro risate invece di una barzelletta leggerò qualche notizia di politica russa.”
Tanya sorride tristemente. Silenzio, di nuovo. Ti fermi a riflettere su ciò che hai appena sentito. Quel senso di rassegnazione, di docilità, di impotenza di fronte alle decisioni dei più forti ti hanno sempre fatta innervosire. Sei troppo europea, ti dicevano i tuoi amici, Ecco la rivoluzionaria, sbuffavano i professori a scuola, Ma chi ti credi di essere?, scoppiavano a ridere i vecchi. Pensi al popolo russo, un popolo così potente, così intelligente, dall'animo così grande, eppure così sottomissivo, disinteressato della politica, disilluso da qualsiasi forma di governo, perché tanto si sa, chi prende la poltrona lo fa solo per rubare i soldi ai lavoratori onesti. Lenin, Stalin, Breznev, Putin, Medvedev, non è la stessa cosa? Solo l'ennesimo zar per un popolo che non ha mai conosciuto davvero la libertà, una nazione troppo grande, troppo estesa e con troppi nemici per essere lasciata correre felice, indipendente. E se persino il comunismo, forma estrema di democrazia, non è riuscita in settant'anni a portare in queste terre la possibilità di respirare e di parlare un po' di più, non sarà sicuramente il capitalismo di Putin a farlo.
“Chi hai votato? Putin?”
“Prohorov. Sembrava quello con la testa un po' più a posto. Ma figurati se lo lasciavano vincere.”
La fila di macchine sembra interminabile, ma tu non te ne curi. Hai così tante cose di cui parlare, così tante cose da chiedere a Tanya. La conosci praticamente da sempre, siete cresciute insieme, ed è da così tanto tempo che non vi vedete.
“Beh, allora, come stai? Novità?”
“Bah, tutto come al solito... Non è cambiato molto, sai. Mi sono laureata a giugno, a settembre mi hanno proposto un lavoro.”
“Non si è sentita la crisi qua, eh?”
“No, a giudicare dal continuo aumento di macchine su queste dannatissime strade non direi proprio.”
“Si è sposato qualcuno?”
“Si, Amina e Serioja. E tra qualche mese tocca anche a Nikita.”
“Con gli altri ti senti? Katya, Dasha?”
“Raramente.”
“Guidi bene.”
“L'esame di teoria l'ho passato da sola, quello di guida ho preferito comprarlo.”
“Come mai?”
“Boh, sai come sono ansiosa, avevo paura di fare qualche cazzata. Quando non sono messa sotto pressione non me la cavo male, ma un esame non so se sarei riuscita ad affrontarlo.”
Passate davanti all'ennesima macchina dal muso spaccato ferma di traverso in mezzo alla strada che ostruisce ancora di più il traffico, e tu ti domandi se anche il suo autista ha comprato la patente o meno. Distogli lo sguardo dall'ammasso di ferraglie che è il cofano di quella macchina e lo rivolgi all'orizzonte di grattacieli in lontananza che iniziano ad illuminarsi delle luci accese negli appartamenti, come tante costellazioni artificiali splendenti nell'avvicinarsi sempre più rapido della notte.





“Non è bellissima?” ti chiede Tanya, notando dove si è posato il tuo sguardo. Annuisci, senza girarti, e dal tuffo al cuore che provi all'improvviso ti rendi conto che tu quella città la ami, la ami ancora.
Non è sempre stato così. Non è stato facile innamorarsi di una città brutta, grigia, dalla gente rigida e scorbutica. Non è stato facile innamorarsene, perché Mosca non ha né un mare sul quale affacciarsi, né i colori e la luminosità che il tuo occhio artistico andava cercando, né il sole e l'aria pulita dei quali la tua pelle malaticcia aveva disperatamente bisogno. Per un sacco di anni hai vissuto in quella città, indifferente a tutti i suoi tesori nascosti, sbuffando di fronte ai piccoli miracoli che lei, timida, ti offriva, senza capire che la bellezza ha tante facce, molte delle quali non si possono vedere solo con gli occhi. Poi, pian piano, hai imparato. Hai imparato tante cose, tra le quali hai imparato ad andare oltre gli aspetti superficiali delle cose, e hai imparato, come tutti i russi – chissà se tu lo sei mai stata? – ad essere paziente, e a saper sopportare l'apparente bruttezza se alla fine di essa si cela una bellezza grandiosa, superba, enorme, perché hai capito che in Russia la gente preferisce avere poche cose, ma fatte bene, poche bellezze, ma uniche al mondo, e non importa se tutto il resto fa schifo, tutto il resto può anche andare a farsi fottere, perché tanto loro hanno quei primati dei quali andar fieri, e questo a loro basta. Lo avevi capito, questo, anche se ti ci erano voluti degli anni, ma l'importante era esserci arrivata; ti ricordi, quando, il giorno prima della partenza, tremante di lacrime, buttasti nelle verdognole acque del fiume Moscova le chiavi del lucchetto che avevi attaccato al ponte di Lujkov, dove le coppiette innamorate hanno tutt'oggi l'abitudine di serrare il loro amore in un piccolo aggeggio di ferro, destinato ad arrugginire sotto le abbondanti precipitazioni di questa città, con le loro iniziali graffiate sopra? Ricordi, cosa c'avevi scritto tu?
“Parto, ma il mio cuore lo lascio qui. Ti amo, Mosca.”
Firmato: E.M.
Emme, come l'iniziale del tuo vero cognome.
Era un cognome scomodo, il tuo, difficile da pronunciare, che tutti hanno sbagliato a scrivere o a leggere almeno una volta, un cognome poco diffuso e strano, e questo, insieme al fatto di iniziare per la stessa lettera, ti faceva sentire un po' più vicina a questa città, e forse anche ciò è stato uno dei tanti motivi che te lo ha fatto abbandonare, pian piano, negli anni, per sentire di meno la lontananza, per non soffrire, per non pensare. Ma ora quel cognome ti sembra di nuovo tuo, come tua ti sembra di nuovo questa città scintillante nella notte che ormai è scesa completamente, anche se in fondo al cuore sai che non è così, questa è una città che corre, baby, che scappa, e che non si ferma di certo ad aspettare coloro che la abbandonano. Pensi che in realtà esiste solo una persona pronta ad aspettarci, nonostante gli abbandoni, e le delusioni, e l'amaro in bocca, ci aspetta a braccia aperte, ovunque noi scappiamo, tanto lo sa che prima o poi torniamo, ci tocca, non riusciamo a farne a meno, e allora quella persona è lì, pronta sempre a stringerci e a perdonarci tutto, a dire Non fa niente, tesoro, vieni qui, mangia qualcosa, lo vuoi un the? E anche quella persona, in tutte le lingue del mondo, ha un nome che inizia per la lettera M.
Emme, come mamma.
Pensi a quanto ti sia mancata, e a quanto sarà bello riabbracciarla, lasciarsi guardare da quegli occhi lucidi che non serbano rancore, ma solo gioia, gioia pura, e a quanto sarà bello ed emozionante rivedere anche tutti i tuoi vecchi amici, e i luoghi a te così cari, hai ben quattro giorni da dedicare completamente a tutti loro, quattro giorni nei quali potrai di nuovo pretendere di essere felice.
Alzi lo sguardo al cielo: da grigio scuro ora è diventato arancione per tutto l'inquinamento luminoso che una città da quindici milioni di abitanti non può non avere. Mentre il traffico pian piano inizia a scorrere, e il buio nasconde lo sporco delle strade, pensi che sì, questa città è bellissima, e che sì, la ami ancora, come solo un figlio errante e vagabondo può amare una madre che lo perdona, lo stringe e, consolatoria, dice:
Non fa niente, tesoro, non fa niente.

4 comments:

  1. Very good!
    Non l'avevi mai descritta così Mosca, stupenda!
    Mi hai fatto assaporare e innamorare di questa città perchè sei stata brava a trasmettere emozioni, sentimenti, azioni quello che un bravo scrittore dovrebbe fare per coinvolgere i propri spettatori. E' una cosa che ormai senti dentro, che ti scorre nelle vene e questa è una cosa importante per te e a chi vuoi trasmettere i tuoi messaggi.
    Brava, brava, brava!
    Be dai un giorno ti cade una cosa in testa e ti vien la follia di raccogliere questi pezzi in una sorta di magazine/diario tutto tuo. AIUTO! :)
    P.S. sono una sua FAN! :)

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  2. Grazie Nancy! :D sono contenta di riuscire a trasmettere anche solo un minimo delle emozioni che mi riempiono quando scrivo, spero che si riescano a cogliere bene, soprattutto in pezzi come questo, che è completamente autobiografico. Chissà se un giorno ci sarà uno sviluppo della situazione (lo spero!) ;)

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  3. E' la prima volta che ti leggo... e non me ne pento!
    Ci tengo a dirti che mi hai aiutata a capire; spesso i nostri sentimenti ci spingono verso sbagliate considerazioni su persone che nemmeno conosciamo, pensando che è opportuno mantenere le distanze, per poi scoprire che ci somigliano più di quanto possiamo immaginare!!
    Come te amo scrivere, e non potevo certamente restare indifferente dinanzi a ciò =)
    Rispondi che è completamente autobiografico,ma non c'era bisogno di precisarlo, e sai perchè? Non è la classica conoscenza perfettina della città a fartelo capire, qui c'è un cuore che parla, ci sono frammenti di una vita...che non conosco, ma che sento vicina. "Emme come il tuo vero cognome"...qui inizia la parte che preferisco, e non perchè è scritta meglio, ma per quello che c'è dentro; "un cognome scomodo", e per quanto mi riguarda dice tutto, se non ho "letto" male...di solito non si abbandona un cognome perchè la gente sbaglia a pronunciarlo o perchè ci lega troppo alla città natale... E'fantastico come quella sensazione di aver nuovamente possesso di quel cognome e di quella città possa esser associata ad altro, a come quella città che corre, che scappa, che non si ferma ad aspettare coloro che l'abbandonano, possa identificarsi con altro.. Ed ecco che subito dopo arriva il buio, non solo quello della notte, ma niente paura, ci pensa la mamma! =') Posso solo complimentarmi, e spero di non aver volato troppo con la fantasia, in caso contrario ti chiedo scusa. Questo è ciò che ho letto, mi auguro di non dover imparare a leggere =D.
    Sii sempre te stessa... Buon fortuna.

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  4. Ciao Anonymous (vorrei tanto sapere il tuo nome, per rivolgermi personalmente a te!),
    prima di tutto ti ringrazio calorosamente per il tuo commento e per le tue lodi, mi fanno molto piacere :) Effettivamente hai letto bene, e sono contenta che i significati che ho cercato di mettere in ogni singola parola siano in grado di arrivare al lettore. Alla fine, come ho già scritto in questo racconto, le emozioni, le situazioni e spesso anche le persone si ripetono, ed è anche per questo che mi piace esplorarle, mi piace riuscire a capirle e interpretarle, perchè così riesco a capire un pochino di più anche il mondo intero. E rendermi, probabilmente, più semplice da interpretare per gli altri. Ma sto divagando, scusa.
    Ad ogni modo, spero davvero che tu possa apprezzare anche gli altri scritti su questo blog, per il momento sono in uno stato di piccola pausa, ma solo perché sto lavorando a un progetto un po' più grande. Grazie ancora, ciao!

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