Monday, November 26, 2012

Poteva essere Parigi.

Le note della triste canzone del musicista uscivano dal suo trombone arrugginito e venivano portate via dal vento, svolazzanti come i fazzoletti sulle teste delle donne in fila sui gradini della chiesa, già immerse nella loro litania domenicale prim'ancora di sedersi sulle panche di legno, sotto le arcate gotiche e le vetrate a colori della casa di dio. Il musicista, un vecchio immigrato mezzo ubriaco vestito in stracci consumati e sporchi, suonava la nostalgia per il suo lontano paese, ricordando chissà quali bei giorni della sua gioventù ormai andata, e mentre suonava delle lacrime scendevano lentamente dai suoi occhi socchiusi e scivolavano nella folta barba incolta, ma nessuno si accorse di loro, neanche il bimbo che, impietosito, chiese alla madre degli spiccioli e li lanciò nel cappello che il vecchio aveva poggiato sull'asfalto davanti a sé.


Gli alberi sulla rue Canebiere scuotevano sconsolati i propri rami, dai quali cadevano piccole foglie come tanti fiocchi di neve gialli e marroncini, e roteando si infilavano in mezzo alla folla che impazziva lungo le bancarelle del mercatino di Natale che era già stato allestito davanti al Vieux Port. Il vento era gelido, Vento del Nord, pensò lei e si alzò il bavero dell'impermeabile, maledicendo l'inverno e chi l'aveva inventato. Dai chioschetti che vendevano il vin chaud si alzavano bianche nuvolette di vapore, e la tentazione di bere qualcosa di caldo era troppo forte, così spese quei tre euro che erano oggettivamente troppi per un bicchierino di plastica minuscolo e ne tracannò il contenuto in un solo sorso, scottandosi labbra, lingua ed esofago. La qualità del vino era pessima, ma era talmente bollente e talmente zuccherato che quasi non si sentiva; non mangiava nulla dal giorno prima, infatti l'alcool le salì subito alla testa, facendola sentire un po' stordita e arrossandole le guance.
Vagò ancora un po' per le strade centrali di quella città dalle palazzine in stile Liberty, con i balconi dalle ringhiere che si attorcigliavano in complicati ghirigori e con le finestre alte e strette dalle persiane perennemente chiuse, una città che sarebbe potuta benissimo essere Parigi, eppure non lo era. Lei era indecisa sul da farsi: non c'era nessuno ad aspettarla a casa, quindi non aveva molto senso ritirarsi così presto, ma la fregatura era che non c'era nemmeno nessuno ad aspettarla fuori, quindi neanche vagare così senza meta era chissà quanto produttivo, però almeno la distraeva dai pensieri che la affliggevano non appena si rinchiudeva tra quelle quattro mura, almeno poteva guardare la gente correre da un negozio all'altro in preda allo shopping della domenica, poteva incantarsi davanti alle vetrine addobbate delle Galerie Lafayette, poteva indugiare sulle soglie delle boulangerie e lasciarsi tentare dall'irresistibile profumo delle baguette appena sfornate. Tutte queste cose la riempivano di una gioia temporanea capace, almeno per un po', di tamponare la solitudine interiore che provava, così si abbandonava ad essa, come un vecchio che si lascia trascinare obbedientemente per mano da un nipotino viziato dentro un negozio di giocattoli.



Ma andava bene, andava bene così, e lei non se ne lamentava, neanche con sé stessa, perché aveva imparato a convivere con la sua solitudine, era il prezzo da pagare per l'indipendenza, e allora andava bene così, seppure ogni tanto, a vedere le coppiette che si sbaciucchiavano agli angoli delle strade, o le famigliole sorridenti che sembravano appena uscite da una pubblicità della Coca-Cola, ogni tanto, ecco, ogni tanto quando le vedeva faceva un sospirone e girava la testa dall'altro lato per non far dolere ancora di più il già abbastanza maltrattato cuore. Eccolo, è di nuovo il vino, lo dico io che devo bere di meno, è il vino, mi fa andare in depressione, devo ricordarmi di smetterla, che diamine. Ma in fondo va bene, va bene così, va bene anche il vino, che mi fa sentire il mondo ancora di più di quanto non lo senta già, mi fa sentire ogni singola sfumatura della vita con una forza inaudita, brutale quasi, mi fa vedere i colori come se qualcuno avesse spostato la saturazione al 100%, come se abitassimo dentro un programma tipo Photoshop, e i colori sono talmente forti che fanno male agli occhi, e mi viene da strizzarli, è per questo che ogni tanto piango quando bevo il vino, non per altro, solo per questo, davvero.
 

Si sedette su una panchina non lontano dal vecchio musicista, e pensò che probabilmente anche lui era solo come lei, ma di una solitudine diversa, era solo non perché non aveva trovato, ma perché aveva trovato e aveva già perduto, e per qualche minuto restò a pensare quale delle due fosse peggio. Guardava i volti di quei passanti, e le venne da pensare che ognuno portava su di sé qualche traccia di chissà quale sofferenza, ognuno aveva una ruga, o una smorfia, o un'espressione degli occhi, che indicava che quel viso aveva già sbattuto contro la cruda realtà della vita, e non era uscito da quell'incontro senza qualche doloroso livido. Ognuno, pensò lei, porta un lutto cerimonioso per un qualche suo sogno morto, o per una fede perduta, o per un sentimento gravemente malato. La disillusione era quella che segnava di più i volti; le persone disilluse lei riusciva ad individuarle subito, a colpo sicuro. Poi venivano quelle dall'amore non corrisposto, quelle che nella vita sono sempre state costrette a ripiegare sui piani B, quelle che hanno sempre avuto troppa paura di cambiare ed infine quelle che non hanno mai avuto nulla e che quindi non sono abituate ad aspettarsi nulla. Chissà se dal mio viso si riesce a leggere qualcosa, pensò lei, e, mezza spaventata che qualcuno riuscisse a carpire chissà quale segreto, affondò ancora di più la faccia nella sciarpa che già le arrivava fino al naso, e scese un po' di più il cappello sugli occhi. La canzone del trombettista era finita, il vecchio si affrettò a raccogliere le poche monete dal cappello – lei lo vede passarsi una mano sulle guance, ma non ne capì il perché – dopo di che chiuse lo strumento in una custodia visibilmente logorata dal tempo e dall'usura, e si allontanò frettolosamente, come se fosse stato spaventato da qualcosa.



Lei iniziò a sentire freddo stando così seduta, immobile, senza neanche più la musica a tenerle compagnia, così si alzò per scaldarsi; valutò per un attimo se valeva la pena andare a prendere un altro bicchierino di vino caldo o meno, poi decise che con gli stessi tre euro al supermercato sarebbe riuscita a trovare un'intera bottiglia da un litro di Bordeaux che avrebbe potuto benissimo riscaldare a casa nel pentolino insieme a un po' di zucchero rubato alla mensa dell'università. Sentì un brivido passarle per la schiena, ma cercò di non farci caso, e, ormai indifferente a quello che la giornata aveva da offrirle, andò in direzione della fermata dell'autobus, con l'intenzione di ubriacarsi in completa solitudine nella sua piccola stanzetta dello studentato.
Gli alberi scuotevano le proprie chiome come genitori delusi che guardano i propri figli prendere una strada che loro non avrebbero mai augurato loro. Allo stesso modo in autunno scuotono le proprie chiome gli alberi sui Champs Elysées. Quel posto poteva benissimo essere Parigi, eppure, per chissà quale diavolo di ragione, non lo era.
 

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