Tuesday, November 6, 2012

Tre ore e venti di energia.


L'unico posto dove la frutta costa ancora un euro al chilo e non tre e cinquanta come al supermercato è il mercato arabo.
Un euro! C'erano tempi quando con un euro ci potevi campare per tutto il finesettimana, c'erano tempi che con un euro - duemila lire! - ci compravi da bere a te e a tutti gli amici, almeno così dicono, tu preferivi comprarti il gelato, sono tempi lontani, è vero, tempi che a dire il vero non ricordi neanche tanto bene, quando hai iniziato a spendere soldi tuoi, risparmiati faticosamente paghetta dopo paghetta, si, c'era la lira, ma a dire il vero non ti facevi davvero problemi di quanto dovevi o potevi spendere, semplicemente lo facevi, e spendevi esattamente quanto avevi, mica c'era un affitto da pagare o una spesa da fare, a quello ci pensavano mamma e papà, e quando hai iniziato a capire veramente il senso dei soldi si parlava già di euro, ora neanche le peggiori cicchetterie di Bologna ti vendono qualcosa per un euro, al massimo ci puoi comprare lo spritz tarocco dal Siesta, dove gli scarafaggi corrono in mezzo alle bottiglie ricoperte di polvere, bottiglie che una volta contenevano vero Aperol, e che ora i baristi nel retrobottega riempiono con un imbuto di chissà quale schifezza comprata dalla Lidl, e invece qui la frutta costa un euro al chilo, un intero chilo di frutta a solo un euro, al mercato arabo, da non crederci, eppure è così.





Ti fai strada tra la folla, cercando di non toccare nessuno, per quanto sia praticamente impossibile, cammini stringendo saldamente la borsa sotto il braccio, non girandoti alle solite grida "ehi bella!", cercando di ignorare gli sguardi insistenti dei marocchini, lo sai che con quegli sguardi in questo momento ti stanno spogliando, hanno già deciso che tu sei loro, e non importa se tu non sei d'accordo, per loro non sei altro che un oggetto, da avere, da desiderare, da spogliare, ma tu passa, non ragioniam di loro, direbbe Dante, ma guarda e passa, anzi, non guardare nemmeno, che non sia mai questi pensano che li stai assecondando, passa oltre le bancarelle di frutta secca, e i negozietti che vendono spezie odoranti e colorate in sacchi di juta, e le nere che allattano i figli sui bordi delle strade, coprendosi il seno con uno scialle, e gli occhi grandi e pesantemente truccati delle donne nei burqa, e le zingare con la solita piccola mandria di ragazzini sporchi e scalzi al seguito, ragazzini che giocano e urlano e rispondono ai rimproveri delle madri scalciando in aria come puledri ribelli.
Le bancarelle della frutta e della verdura sono disposte in due file ordinate al centro della piazzola, tra le sedie e i tavolini dei "salon du the" dove pasticcini imbevuti di miele e cosparsi di semi di sesamo giacciono ammucchiati su vassoi argentati in balia delle mosche e delle dita sporche dei commessi e dei clienti, tra gli scarti delle macellerie e delle pescherie lì affianco, ossa di pollo, interiora di pesci, sangue di maiali appena sgozzati (i camerieri cercano di pulire un po' buttando secchiate d'acqua, con l'unico risultato di creare pozzanghere sudicie e maleodoranti), tra i vecchietti minuscoli che fanno la carità a terra, tra le grida dei fruttivendoli, che sembra facciano a gara a chi riesce a urlare più complimenti per i prodotti che vendono - mandarini dolcissimi, pomodori freschissimi, prugne morbidissime, menta profumatissima. Tu ti fai strada in mezzo a quel bordello di persone dove tutto - razze, etnie, colori, odori, lingue, - sembra essere stato mischiato in un enorme frullatore e versato in un bicchiere alto con una cannuccia, bicchiere dal quale tu bevi, bevi, bevi fino alla goccia questa bevanda strana, dal gusto esotico e tuttavia vagamente familiare, bevi fino a quando non l'hai vuotato tutto, e la cannuccia che aspira aria fa quel tipico rumore gorgogliante che conosci così bene (quante volte l'hai fatto da bambina?). Ti fai strada in mezzo alla gente e ti dirigi automaticamente a una delle bancarelle, la tua preferita, la terza a sinistra, ormai compri sempre la frutta da questo tunisino, lo conosci di vista, e, incrociando lo sguardo con lui, gli sorridi; lui ti fa un cenno con la testa e ti porge qualche bustina di plastica, lasciando a te il piacere di scegliere la frutta che più desideri, lasciandoti tutto il tempo che vuoi per scorrere le dita sulle bucce lisce delle mele, per tastare la morbidezza dei cachi, per ricordarti se per i melograni è veramente già stagione (possibile che il tempo scorra così in fretta?) oppure no. Alla fine tendi indietro al ragazzo i sacchetti da te riempiti – un euro al chilo per le mele, uno e venti per i cachi e per i melograni – paghi il dovuto e, lentamente, strisciando di nuovo in mezzo alla calca, ti allontani in direzione della fermata dell'autobus.
 






Una volta il tuo ex professore di biochimica aveva detto a lezione che teoricamente le calorie contenute in una mela dovrebbero bastare a un essere umano per correre ininterrottamente per quaranta minuti – se non fosse per i vari processi succhia-energia, la respirazione in primis, seguita da digestione e tutte le altre, che riducono notevolmente la carica a disposizione. Ma in teoria, mangiando un chilo di mele, un chilo di quelle succosissime mele comprate a solo un euro, e ipotizzando che ogni mela pesi sui duecento grammi circa, si dovrebbero avere calorie sufficienti per correre ininterrottamente per duecento minuti. Tre ore e venti di energia per un euro. Questo pensiero, chissà perché, ti rallegrò. Sorridesti, e, strizzando gli occhi contro il sole che lento si calava nel mare e nel farlo si rifletteva, accecante, nelle finestre delle case di rue La Canebière, salisti sull'autobus.

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